LEONARDO E LA BATTAGLIA DI ANGHIARI


Maria Emilia Graziani



                             Peter Paul Rubens - Disegno

LA STORIA DELL'AFFRESCO

Scarse sono le  cronache sull'evento quasi epocale che avrebbe dovuto provocare, in un contesto sociopolitico  di rinnovato orgoglio repubblicano, interesse, ammirazione, ma anche critiche e invidie. Ciò che ci è pervenuto è  l'incarico dato a Leonardo da parte del gonfaloniere Soderini, nell'aprile del 1503, di affrescare una porzione della sala del Gran Consiglio del palazzo della Signoria, da poco costruita, i pagamenti dei vari materiali impiegati e la diatriba sorta tra Leonardo e il Soderini durante l'iter dei lavori. 
 Andando ad analizzare cosa ci narrano coloro che possono avere visto l'affresco o quella parte di esso che ne era rimasta, forse si possono trovare alcune risposte all'enigma che  da secoli coinvolge gli studiosi di Leonardo e cioè : quale fosse la sua ubicazione e cosa rappresentasse veramente.

Nel 1510 Francesco Albertini riportava nel suo -Memoriale di Molte Statue e Picture della città di Florentia- che nella Sala Grande del Consiglio “....si vedevano li cavalli di Leonardo e li disegni di Michelagnolo.” E' interessante il fatto che vengano menzionati solo i cavalli come se quelli fossero l'unica cosa visibile, mentre non vi è nessun accenno ai cavalieri in lotta per lo stendardo. 
 Il Bini  nel 1518 fa riferimento “all’olio di seme di lino che gli fu falsato......... ( Leonardo aveva ripreso da Plinio un'antica tecnica d'affresco chiamata ad encausto)...et di Plinio cavò quello stucco con il quale coloriva, ma non l'intese bene: et la prima volta lo provò in uno quadro nella Sala del Papa che in tal luogo lavorava, et davanti a esso, che l'haveva appoggiato al muro, accese un gran fuoco, dove per il gran calore di detti carboni rasciughò et secchò detta materia: et di poi la volse mettere in opera nella Sala, dove giù basso il fuoco agiunse et seccholla: ma lassù alto, per la distantia grande non vi aggiunse il calore et colò."  Leonardo aveva effettuato una prova su di un quadro campione e, anche se il Bini suggerisce che qualcuno volle sabotare l'opera fornendo una cattiva qualità dell'olio, è plausibile che il calore non abbia raggiunto a sufficienza  la parte superiore dell'affresco.
La parte dell'affresco "colata via" era quindi  la parte alta, e ciò che ne rimase, doveva trovarsi in basso e rappresentare una scena in primo piano. Ed in effetti ciò che ci è stato tramandato potrebbe corrispondere. Se la parte in basso si era salvata, la composizione originale non doveva aver un ulteriore sviluppo laterale, come più volte affermato dai cronisti e dagli storici, ma solo verticale.
La descrizione del Bini evidenzia anche l'imponenza dell'affresco: "lassù in alto" lascia intendere che la composizione avesse uno sviluppo verso l'alto non indifferente. Ma la cosa più interessante sarebbe la descrizione di un piccolo "quadro" che, appoggiato alla parete nella sala del Papa, servì per testare l'efficacia della tecnica di fissaggio dei colori tramite il calore di un fuoco. Questa specie di bozzetto non avrebbe potuto essere su tavola o altro materiale deperibile per il gran calore, presumo che il supporto fosse di cotto(embrice),come vedremo in seguito, e che il soggetto non necessariamente riflettesse quello della battaglia che ci è pervenuto.

Trent’ anni dopo l’Anonimo Gaddiano così descriveva la battaglia: “ il cartone di guerra dei fiorentini quando ruppono a Anghiari Nicholò Piccinino…..come ancora si vede et in vernice ........ Et tornossene a Milano, et di poi in Francia al servitio di re Francesco, dove portò assaj de sua disegnj de qualj anchora ne lasciò in Firenze nell’spedale di santa Maria Nuova con altre masseritie, et la maggior parte del cartone della sala del consiglio, del quale il disegno del gruppo de cavallj che hoggj in opera si vede"
 Secondo la descrizione dell'Anonimo, risalente intorno agli anni 30 del 1500,l'affresco rappresentava un gruppo di cavalli. La definizione"in vernice" lascia supporre la  presenza di un dipinto nettamente visibile.
Paolo Giovio, verso il 1526, precisa:
"Rimane inoltre nella sala consigliare di Firenze una rappresentazione oltremodo apprezzabile di una battaglia vinta contro i pisani. Purtroppo fu iniziata in modo infelice malgrado ci fosse un difetto di tenuta del colore sugli intonaci che non legavano con i colori miscelati con olio di noce. Il comprensibilissimo dolore per questo inaspettato avvenimento sembra aver aggiunto all’opera ulteriore bellezza.
Secondo il Giovio l'affresco rappresentava una battaglia vinta contro i Pisani, il che non corrisponde a realtà.La bellezza dell'affresco forse risiedeva nell' aspetto incompiuto, vedi la Tavola Doria.

Il Cellini, artista coevo nella sua autobiografia narra: "......e il mirabil Lionardo da Vinci aveva preso per elezione di mostrare una battaglia di cavagli con certa presura di bandiere, tanto divinamente fatti, quanto imaginar si possa, quello del gran Lionardo era bellissimo e mirabile. Stetteno questi dua cartoni, uno nel palazzo de’ Medici, e uno alla sala del Papa. In mentre che gli stetteno in piè, furno la scuola del mondo.
Secondo la descrizione del Giovio sembra che anche il cartone rappresentasse solamente una battaglia di cavalli, senza alcun riferimento ai cavalieri e all'ambientazione, ma menziona la presenza di più di uno stendardo.

Nel 1549 Agnolo Doni da Venezia, fra le cose più importanti di Firenze invitava ad ammirare “....un gruppo di cavalli e d’uomini, un pezzo di Battaglia di Lionardo da Vinci che vi parrà una cosa meravigliosa” .Questa sembrerebbe la descrizione più coerente con quanto ci è pervenuto.

 Nel suo "Idea del Tempio della Pittura" del 1590, il Lomazzo  : Hora Lionardo fu quello che lasciato l'uso della tempera passò all'oglio, il quale usava assotigliar con i lambichi ; onde a causato che quasi tutte le opere sue si sono spiccate dai muri, si come fra l'altre si vede nel consiglio di Fiorenza la mirabile battaglia, & in Milano la cena di Christo in Santa Maria delle Gratie che sono guaste per l'imprematura ch'egli gli diede sotto »
Coll'espressione " come si vede" egli lascia intendere che, seppur "guasta", fosse ancora presente da qualche parte e visibile, si parla comunque di una battaglia. Ciò fa sorgere qualche perplessità, come è possibile che l'opera fosse ancora presente quando il Vasari aveva già eseguito i suoi affreschi nella sala del Consiglio?

Benedetto Varchi nel 1564: "Piero Soderini Gonfaloniere à vita della Città di Firenze, huomo di molta prudenza, e bontà, per adornare la sala grande del palagio de’ Signori, nel quale si ragunava in quel tempo il consiglio maggiore, n’allogò una facciata, perche egli la dipignesse, à Lionardo da Vinci, huomo (come poco appresso diremo) da tutte le parti compiutissimo; ed egli di già l’havea cominciata; e vi fece un gruppo di cavagli tanto terribile, e in cosi nuova maniera, che infino all’hora non s’era veduto cosa non che più bella, che à gran pezzo la pareggiasse: quando Michelagnolo appena tornato da Roma con incredibile fama della sua virtù, fu dal medesimo Gonfaloniere messo in opera; il quale per far concorrenza à Lionardo, gl’allogò quell’altra facciata: onde Michelagnolo per vincere colui, il qual vinceva di gran lunga tutti gl’Altri, e mostrare quanto l’essere stato in Roma giovato gl’havesse; prese à dipignere una fazione "
Il Varchi parla di un unico gruppo di cavalli. 
Il Vasari nelle Vite:"…Per la eccellenzia dunque delle opere di questo divinissimo artefice, era tanto cresciuta la fama sua, che tutte le persone che si dilettavano de l’arte, anzi la stessa città intera disiderava ch’egli le lasciasse qualche memoria; e ragionavasi per tutto di fargli fare qualche opera notabile e grande, donde il pubblico fusse ornato et onorato di tanto ingegno, grazia e giudizio, quanto nelle cose di Lionardo si conosceva. E tra il gonfalonieri et i cittadini grandi si praticò che essendosi fatta di nuovo la gran sala del consiglio, l’architettura della quale fu ordinata col giudizio e consiglio suo, di Giuliano S. Gallo e di Simone Pollaiuoli detto Cronaca e di Michelagnolo Buonarroti e Baccio d’Agnolo (come a’ suoi luoghi più distintamente si raggionerà). La quale finita, con grande prestezza fu per decreto publico ordinato, che a Lionardo fussi dato a dipignere qualche opera bella; e così da Piero Soderini, gonfaloniere allora di giustizia, gli fu allogata la detta sala… Per il che volendola condurre Lionardo, cominciò un cartone alla sala del papa, luogo in S. Maria Novella, dentrovi la storia di Niccolò Piccinino, capitano del duca Filippo di Milano, nel quale disegnò un groppo di cavalli che combattevano una bandiera, cosa che eccellentissima e di gran magisterio fu tenuta per le mirabilissime considerazioni che egli ebbe nel far quella fuga.
 Il Vasari descrive un primo cartone della battaglia che rappresentava ciò che ci è pervenuto, c la parte dove si vede la fuga, non si è certi che ne fossero stati eseguiti altri.
 "Perciò che in essa non si conosce meno la rabbia, lo sdegno e la vendetta negli uomini che ne’ cavalli; tra quali due intrecciatisi con le gambe dinanzi non fanno men guerra coi denti, che si faccia chi gli cavalca nel combattere detta bandiera, dove apiccato le mani un soldato, con la forza delle spalle, mentre mette il cavallo in fuga, rivolto egli con la persona, aggrappato l’aste dello stendardo, per sgusciarlo per forza delle mani di quattro, che due lo difendono con una mano per uno, e l’altra in aria con le spade tentano di tagliar l’aste"
 Le mani sull'asta dovevevano quindi essere 4. "mentre che un soldato vecchio con un berretton rosso" -un berrettone rosso-, lascia presupporre  che il Vasari vide l'affresco o quel che ne restava. "gridando, tiene una mano nell’asta e con l’altra inalberato una storta, mena con stizza un colpo, per tagliar tutte a due le mani a coloro, che con forza digrignando i denti, tentano con fierissima attitudine di difendere la loro bandiera; oltra che in terra fra le gambe de’ cavagli v’è due figure in iscorto, che combattendo insieme, mentre uno in terra ha sopra uno soldato, che alzato il braccio quanto può, con quella forza maggiore gli mette alla gola il pugnale, per finirgli la vita: e quello altro con le gambe e con le braccia sbattuto, fa ciò che egli può per non volere la morte. Né si può esprimere il disegno che Lionardo fece negli abiti de’ soldati, variatamente variati da lui; simile i cimieri e gli altri ornamenti, senza la maestria incredibile che egli mostrò nelle forme e lineamenti de’ cavagli: i quali Lionardo meglio ch’altro maestro fece, di bravura, di muscoli e di garbata bellezza.
Altre discrepanze tra la descrizione del Vasari e quanto ci è pervenuto riguarda il numero dei cavalieri descritti, che a quanto pare non sono 4, come risulta dalle copie, bensì 5 o addirittura 6. Tra le gambe dei cavalli vengono descritte due figure, manca quella all'estremità che si ripara con lo scudo.

Filippo Baldinucci nel 1600:"Diede  mano al lavoro Lionardo, e principiando dal cartone, in effo vi difegnò, per fatto allufivo alla rotta di Niccolò Piccinino capitano del duca di Milano , un gruppo di guerrieri a cavallo , che fi difputano l' acquifto di una bandiera . Ivi efpreffe al vivo la rabbia , e la vendetta così negli uomini, come ne' cavalli ; due de' quali intrecciatili con le gambe dinanzi , fanno tra di loro guerra co' denti , mentre i cavalieri con molti variati, e valorofi sforzi tentano gli uni di rapire, e gli altri di confervare la militare infegna . E in vero, non fi potrebbe degnamente defcrivere l'eccellenza del difegno , la varia invenzione degli abiti, de' cimieri , e degli altri ornamenti, la vivacità, e il fuoco dell' azione, e la maeftria incredibile , che mostrò nelle forme , e ne' lineamenti de' cavalli , meglio fia tacerne i rari pregi , che debolmente rammentarli. Vuolsi, che da una parte di quest' azione fia tratto il piccolo quadro de' due combattenti... che  a Parigi si custodisce nel reale palazzo in cui sono figurati due soldati a cavallo i quali con altri due si azzuffano per istrappar loro una bandiera.."
 Anche secondo il Baldinucci il cartone rappresentava solo un gruppo di cavalieri. Interessante la descrizione del piccolo quadro non ben identificato che  potrebbe essere attribuito allo stesso Leonardo. Anche Raphael Trichet du Fresne nel 1651, parla di un piccolo dipinto di Leonardo della battaglia dello Stendardo che si trovava alle Tuilleries.

Alcuni storici parlano di due pareti contrapposte nella sala del Consiglio sulle quali avrebbero dovuto lavorare Leonardo e Michelangelo, altri affermano che i due affreschi erano destinati ad una stessa parete. Se optiamo per la prima versione, dobbiamo ammettere che entrambi le pareti erano atte a contenere un affresco di grandi dimensioni, nonostante la presenza di finestre, non è rara la presenza di affreschi che girano intorno a delle finestre.

Giuseppe Bossi descrive la battaglia basandosi su di un'incisione dell'Edelink e il disegno pubblicato da Etruria  Pittrice: "Che fece dunque Leonardo onde significare con pochi ma potenti mezzi l'ostinazione terribile della zuffa, l'ambiguità dell'evento, l'evento stesso vicino a mostrarsi la ferocia de' combattenti a piedi e a cavallo, e finalmente la fuga de' vinti?
Ei compilò tutto questo in sole sette figure, quattro principali e tre accessorie. Le quattro principali sono a cavallo, perchè la cavalleria decise in quel giorno dell' esito della mischia. Se ne veggono due per ognuno de' partiti, e combattonsi una bandiera, il riportar la quale sull' inimico è il noto segnale della vittoria. Ma anche di queste quattro principali figure due soli cavalieri primeggiano, l' uno de' quali già posto in fuga si porterebbe la sua insegna, se sopraggiunto dall'avversario non fosse costretto di arrestare all'istante sè e il cavallo, sforzandosi d'impedire che l'insegna gli venga tolta di mano. Ma il suo sforzo è vano, e il nemico già tiene d'ambe le mani l' asta dell' insegna per sì fatto modo che poco più potrà quel primo sostenerla. L'esito dello scontro è imminente a danno del fuggitivo; ma ecco sopraggiungere un altro cavaliere a recargli soccorso. il furore medesimo accende il cavaliere e il cavallo: questo anzi si slancia con impeto ferocissimo, e incrociando le proprie colle gambe del cavallo nemico, il morde nel petto fieramente e quasi lo arresta; ingegnosissimo avvedimento dell' artefice onde sospendere la furia della fuga ed arrestare, son per dire, l'azione per farne spettacolo. Il cavaliere intanto alza furibondo una daga e minaccia con quella le mani con cui il nemico si sforza di strappare lo stendardo a quell'altro che sta quasi per cederlo. Il suo colpo metterà nuovamente in forse la pugna, se non che è reso vano dal quarto cavaliere il quale, arrivando con non minore rapidità e ferocia, rompe quella breve sospensione, ed è evidente che al finir dell'azione, cioè un istante dopo il momento rappresentato, il fuggitivo avrà perduta la sua insegna ad onta dell'avuto soccorso, e la vittoria rimarrà colf insegna all'assalitore."
 Secondo l'interpretazione del Bossi colui che scappa con lo stendardo avrà la peggio e c'è da chiedersi chi abbia voluto rappresentare Leonardo in quel guerriero.
"...Mentre intanto si disputa la bandiera dai quattro animosi cavalieri con moti fierissimi ed estremi, i fanti, cui sembra che l' ira abbia fatti dimentichi del rischio d'esser pesti dalla cavalleria, spinti dall'estrema esacerbazione dell'animo, con pari forza, sebbene con minor gloria, si disputan la vita. Quest' odio e questo furore scorgesi espresso nel gruppo secondario che si vede fra le gambe dei cavalli. Un pedone, cui riuscì d'afferrar per le chiome il suo avversario , cade avviticchiato con esso e si sforza di dargli morte con un pugnale. Il caduto, sebbene prossimo al morire, sembra ancora minacciare il soprastante nemico; e questi, sebben prossimo a vincère, mostra all'aspetto aver ancora l'anima ingombra dallo spavento del presente e de'futuri pericoli. Rimaneva a rappresentare la fuga: ecco un altro pedone che coprendosi collo scudo si sottrae al furore de' cavalli, e lascia la guerra, tenero più della vita che della gloria. Egli così carpone tenta allontanarsi dal luogo periglioso della pugna, cui si volge guatando spaventato ed incerto ancora del suo destino.
Ecco come in un semplice episodio seppe Leonardo, con vera ragion pittorica , epilogare i principali avvenimenti di quella grande giornata. Quanto abbiamo qui descritto vedesi nella stampa che l'Edelink trasse da un disegno che il Rubens fece di quest'opera, trasfigurandola alla sua maniera caricata e licenziosa; può anche vedersi in un altro disegno che fu pubblicato nell' Etruria Pittrice. Ma l'una e l'altra di queste stampe, la prima per l'esagerazione e la caricatura, la seconda per la freddezza e la meschinità sono male adatte a darci buon saggio dell' opera di Leonardo; solo si debbono guardare per conoscere la composizione e l'invenzione delle attitudini, di che facciam soggetto nelle presenti osservazioni. Le varie altre circostanze notate nello scritto di Leonardo e che potean essere contemporanee all'azione principale, saranno state rappresentate in gran distanza con figure diminuite notabilmente dalla prospettiva."
Il Bossi suggerisce la presenza  di uno scenario sullo sfondo.
"Io non dubito altresì che nell'opera originale, quella strana varietà d'armi delle quali gli attori di questo mirabile quadro eran vestiti , avrà espresso le squadre principali ch' ebber parte nell' azione. Fors' anche ne' quattro cavalieri saranno stati rappresentati i quattro più illustri condottieri di quell' impresa , de' quali non saran mancati i ritratti . Ma sian pure ideali non istorici i personaggi di quest' opera, egli è certo che Leonardo, per mezzo dell' armi, delle insegne, degli stemmi e delle altre cose accessorie, avrà distinto o le famiglie loro per lo più note ed illustri, o gli stati pei quali combattevano. Nell' armatura in fatti del capo di colui dei quattro cavalieri che sta per perdere l'insegna, anche dalla stampa tratta dall'ammanierato disegno del Rubens, si vede una coda di serpe, che forse è parte dello stemma di Filippo Maria Visconti che perdè quella giornata. Le alterazioni capricciose con cui ci fu tramandata quest'opera, sono cagione che poco si possa trarre dal resto degli àccessorj , intorno ai quali sarebbero in oltre necessarie più minute e diligenti ricerche al presente mio scopo inopportune.
Nè ci si debbe opporre che di quanto io qui accennai intorno alla corrispondenza che la rappresentazione di questa istoria sembra avere coi fatti avvenuti secondo che Leonardo ne fu informato, non ci si debbe, dico, opporre che nulla si trovi nel Vasari che diede per altro una vivissima descrizione di questa dipintura. Chiunque ha in pratica il suo libro, avrà sovente avuto occasione di vedere ch' egli d'altro non si curava se non che di riportare ciò che l'arte dimostra anche al volgo, dilettando con uno stile che con molta naturalezza adattava al soggetto del suo dire." 
Spesso si rimprovera al Vasari di non riportare con esattezza le descrizioni dei dipinti. 
Anche Gaetano Milanesi sottolinea che."La descrizione del Vasari non concorda pienamente con queste composizioni. Egli dice assalitore quel cavaliere che tiene la bandiera colle due mani e sopra le spalle, e possessori e difensori della bandiera medesima i due avversari; mentre i disegni mostrano il contrario. Egli parla anche di quattro cavalieri, cui resisterebbe quel primo, mentre tutto il gruppo non si compone che di quattro. Di questa poca precisione del Vasari non v'è da far meraviglia"
Ma non necessariamente il Vasari potrebbe essersi sbagliato nel descrivere il numero di cavalieri,come vedremo in seguito.
Ecco la descrizione che ci da Guglielmo Manzi  nei primi de 1800:  ".... Piero Soderini , che in allora reggea la Repubblica Fiorentina desiderando che rimanesse alcuna grande opera in patria di questo rarissimo ingegno, terminata essendosi di fresco la fabbrica della gran sala del Consiglio, per pubblico decreto la fe' allogare ad esso ed a Michelagnuolo Buonarruoti, acciò in pittura vi rappresentassino alcun degno fatto della Repubblica. Vago Lionardo di provarsi col Buonarruoti, che godea allora in Firenze fama di celebratissimo artefice , allegramente si pose all' opera e ne fece il cartone, rappresentandovi il fatto d' arme d'Anghiari seguito l'anno 1440 tra i Fiorentini e Niccolò Piccinino Capitano di Filippo Maria Visconti Duca di Milano . Immaginò a tale effetto uno stormo di Cavalieri , che ferocemente combattono raggruppati per istrapparsi di mano una bandiera . Per dipignere i cavalli era Lionardo eccellente, talchè nelle mosse e negli scorcj di queste bestie era quella pittura mirabile , siccome pure nelle mosse degli uomini combattenti, vedendovisi nel volto de' vinti espressa al vivo la rabbia, la vendetta, e lo sdegno, e la feroce gìoja ed il dispregio in quelli de' vincitori. Gli abiti dipoi de' soldati, le armi, gli ornamenti, e le bardature de' cavalli erano da lui state variate in mille modi, e vi si ammirava la bellezza ed il costume, cosa che Lionardo osservò più di ogni altro dipintore de'tempi suoi, e non uggivano su ciò alla sua diligenza le più minute particolarità. ........Questa dipintura non ebbe poi luogo in quella sala , imperocché essendo mal riuscita la vernice data da esso in sul muro ei se ne tolse, per avventura anche sdegnato col Gonfaloniere Soderini, dal di cui cassiere essendo un giorno egli andato per riscuotere la sua provisione, gli avea questi dato alcuni cartoccj di quattrini, onde egli pieno di collera gli gittò in sul banco, dicendogli, che non era esso dipintor da quattrini . Nacquero da ciò varj dispiaceri tra esso ed il Soderini, per la qual cosa conoscendo che questo uomo gli era avverso, e che non avrebbe in patria assai vantaggiato , correndo l ' anno 15o6 si parti di Firenze..."
Come si può notare non vi è corrispondenza tra le varie cronache che descrivono l'affresco e ciò rende ancora indecifrabile il suo  aspetto originale.

LA STORIA DELLA BATTAGLIA

La Battaglia di Anghiari viene descritta dai vari cronisti e storici  in modi totalmente diversi, a seconda dell'orientamento politico. C'è chi, come il Machiavelli, ne sminuisce la portata con un solo morto: "Ed in tanta rotta e in si lunga zuffa che durò dalle venti alle ventiquattro ore non vi morì che un uomo, il quale non di ferite nè d'altro virtuoso colpo, ma caduto da cavallo e calpesto spirò"  ,chi la enfatizza come un vero massacro.

Il Graziani nella sua cronaca scrisse:  "Adì ultimo de giugno in giovedì vennero lettere qui in Peroscia come el capitano aveva nauta una gran rotta dalle genti de la lega lì fra il Borgo e Anghiara , e che el capitano se era retratto salvo; sinonché el signor de Faenza rattaccò la meschia benché fussenu molti stanchi. In questo uscì fuora de Anghiara de fresco el Signor Michele con la sua gente con una gran quantità de fanti, con molti balestrieri genovese; pertanto che aforzatamente fo preso el ditto signor Estorre , et corseno alla porta del Borgo: nella qual battaglia ce morì de molta gente,a per seguitare la cosa del Capìtanio dico 'che quando lui vidde le suoi gente rotte , esso se arestrense con 2000 cavalli e gissene alla Mola de le terre del conte Francesco, e nante che dicto capitano se partisse , disse a Francesco suo figliolo e al conte Carlo che se recoverassero nel Borgo. Et così fecero , et era el remor grande persina lì alle porte del Borgo, et nel fosso del Borgo pigliaro molti prigioni e molti cittadini del Borgo, e fo tamanta la moltitudine de le genie che non se podeva resistere: se disse che fuoro 10,000 fanti, senza li homini d'arme , e morirce molti huomini e donne e fanciulli per la furia. El dì seguente che fo invienardide volontà del ditto Francesco e del conte Carlo li Borghesi se diero alla Chiesa , benché altro non podevano fare, e non se poderi stimare li cavalli e prigioni e cariaggi presi ."

LA SALA DEL GRAN CONSIGLIO

In origine la sala era decorata semplicemente, ed invano si sarebbero cercate dorature , cornici ,o dipinti: le muraglie erano nude, il soffitto rozzo e scompartito a quadri di legname. "Dal pavimento alzavasi tutto all'intorno una ringhiera di legno appoggiata alle mura, alta tre braccia, sparsa di sedie e rinchiusa da balaustri: vi prendevano posto tutti i magistrati della città. Il Gonfaloniere di giustizia ed i Priori avevano la loro residenza più elevata, precisamente a metà della parete a levante, mentre in quella di ponente, proprio di rimpetto stava un altare, dove dicevasi la messa : al suo fianco era la bigoncia, da cui gli oratori pronunziavano i loro sermoni. Il rimanente dello spazio era occupato da cittadini seduti su panche disposte in fila ed a traverso." 
da Mariette de Ricci "..Le nude e vaste pareti di questo luogo presentavano iscrizioni e motti repubblicani, fra' quali vi si leggevano i seguenti versi del Savonarola, che invero non danno grande idèa delle sue poetiche facoltà..." Si presume che una parte delle pareti della sala fosse intonacata per potervi apporre le iscrizion e i motti.

Landucci dal Diario Fiorentino a settembre del 1512 con il rientro dei Medici a Firenze:" E in questo tempo piacque a questo governo nuovo di guastare la sala del Consiglio maggiore, cioè el legniame e tante belle cose, ch' erano fatte con tanta grande spesa, e tante belle spalliere; e murorono certe camerette per soldati e feciono una entrata dal Sale ; la qual cosa dolse a tutto Firenze, non la mutazione dello Stato, ma quella bella opera del legniamo di tanta spesa. Ed era di grande riputazione ed onore della città avere sì bella residenza. Quando veniva una anbasceria a vicitare la Signoria, facieva stupire chi la vedeva, quando entravono in sì magna residenza e in sì grande cospetto di consiglio de' cittadini. Sia sempre a laude e gloria di Dio ogni cosa, e posto nella sua volontà." 
Attorno all'affresco nel febbraio del 1513, fu costruita una protezione  ( 1514 secondo il calendario fiorentino) la cui commessa risaliva al 30 aprile 1513 .
Gaye : E il 31 di dicembre ordinarono al Camarlingo della Camera dell'Armi di pagare ai detti Operai tutti gli abeti ricevuti e da riceversi dall' Opera, - prò conficiendis mansionibus Custodice Salae novae. - Il Provveditore degli Operai del Palazzo della Repubblica fiorentina registra nel libro intitolato Giornale A, il 1° gennaio 1513 s. e, una partita di lire 287. — .6, pagate già « per conto della muraglia si « fa in palazzo nella sala per la guardia »; ed a questa partita ne succedono molte altre tra le quali una del primo marzo di lire 8. 12. — a Francesco di Capello e e' lengnaiuoli i quali fino dal 22 gennaio avevano consegnato 29 asse d'albero di f le quali furono braccia quadre 43, a soldi 4 il braccio, " ...per armare intorno le figure dipinte nella sala grande della guardia di mano di Lionardo da Vinci, per difenderle ch là non siene guaste "
Nell'agosto del 1530 , dopo il ritorno dei Medici nuovamente la sala fu destinata ad alloggio per i soldati :  " ...e levaron via tutte le panche e spalliere e muroron stanze per detti soldati come faciono l'ultima volta inanzi a questa."

Sarebbe utile rintracciare ulteriori documenti che descrivano la distribuzione interna degli alloggi dei soldati, se le stanzette furono fatte in muratura, come si afferma in più cronache, dovrebbe risultare traccia lungo i muri perimetrali di qualche foro dove possono essere stati inseriti dei pali, dei ferri oppure dei solchi. Ciò permetterebbe di escludere le pareti non interessate dall'affresco.
La protezione apposta all'epoca potrebbe conservare ancore delle tracce di aggrappaggio nelle pareti, sia in legno che in metallo che andrebbero ricercate.
In seguito la sala fu rimaneggiata dal Vasari a partire dal 1563.
Così descrive il Vasari, incaricato da Cosimo I de Medici,il suo intervento su Palazzo Vecchio : "Mentre di sopra si dipignevano queste stanze, si murarono l’altre che sono in sul piano della sala maggiore e rispondono a queste per dirittura a piombo, con gran comodi di scale publiche e secrete che vanno dalle più alte alle più basse abitazioni del palazzo. Morto intanto il Tasso, il Duca, che aveva grandissima voglia che quel palazzo, stato murato a caso et in più volte in diversi tempi e più a comodo degl’ufiziali che con alcuno buon ordine, si correggesse, si risolvé a volere che per ogni modo, secondo che possibile era, si rassettasse, e la sala grande col tempo si dipignesse, et il Bandinello seguitasse la cominciata udienza. Per dunque accordare tutto il palazzo insieme, cioè il fatto con quello che s’aveva da fare, mi ordinò che io facessi più piante e disegni, e finalmente, secondo che alcune gl’erano piaciute, un modello di legname, per meglio potere a suo senno andare accomodando tutti gl’appartamenti, e dirizzare e mutar le scale vecchie che gli parevano erte, mal considerate e cattive. Alla qual cosa, ancor che impresa difficile e sopra le forze mi paresse, misi mano, e condussi, come seppi il meglio, un grandissimo modello, che è oggi appresso sua eccellenza, più per ubbidirla che con speranza mi avesse da riuscire. Il quale modello, finito che fu, o fusse sua o mia ventura, o il disiderio grandissimo che io aveva di sodisfare, gli piacque molto; per che, dato mano a murare, a poco a poco si è condotto, facendo ora una cosa e quando un’altra, al termine che si vede.................E tornando all’opere mie dico che pensò questo eccellentissimo signore di mettere ad esecuzione un pensiero avuto già gran tempo, di dipignere la sala grande, concetto degno della altezza e profondità dell’ingegno suo, né so se, come dicea, credo burlando meco, perché pensava certo che io ne caverei le mani, et a’ dì suoi la vederebbe finita, o pur fusse qualche altro suo segreto, e, come sono stati tutti e’ suoi, prudentissimo giudizio. L’effetto insomma fu che mi commesse che si alzassi i cavalli et il tetto più di quel che gl’era braccia tredici, e si facessi il palco di legname, e si mettessi d’oro, e dipignessi pien di storie a olio: .............. E qui lascerò pensare non solo a chi è dell’arte, ma a chi è fuora ancora pur che abbi veduto la grandezza e varietà di quell’opera, la quale occasione terribilissima e grande, doverrà scusarmi se io non avessi per cotal fretta satisfatto pienamente in una varietà così grande di guerre in terra et in mare, espugnazioni di città, batterie, assalti, scaramuccie, edificazioni di città, consigli publici, cerimonie antiche e moderne, trionfi, e tante altre cose che non che altro gli schizzi, disegni e cartoni di tanta opera richiedevano lunghissimo tempo, per non dir nulla de’ corpi ignudi, nei quali consiste la perfezzione delle nostre arti, né de’ paesi dove furono fatte le dette cose dipinte, i quali ho tutti avuto a ritrarre di naturale in sul luogo e sito proprio, sì come ancora ho fatto molti capitani generali, soldati et altri capi che furono in quelle imprese che ho dipinto. ............."
Il Vasari afferma di aver ritratto dal vero i personaggi interpreti delle imprese che ha affrescato, nonchè le ambientazioni.Ma c'è qualcosa che non torna, in particolare nella battaglia di Torre San Vincenzo, come vedremo in seguito, i personaggi sembrano essere altri.
 "........E se bene mi hanno alcuni de’ giovani miei creati aiutato, mi hanno alcuna volta fatto commodo et alcuna no. Perciò che ho avuto tallora, come sanno essi, a rifare ogni cosa di mia mano, e tutta ricoprire la tavola, perché sia d’una medesima maniera. Le quali storie dico trattano delle cose di Fiorenza, dalla sua edificazione insino a oggi, la divisione in quartieri, le città sottoposte, nemici superati, città soggiogate, et in ultimo il principio e fine della guerra di Pisa, da uno de’ lati, e dall’altro il principio similmente e fine di quella di Siena; una dal governo popolare condotta et ottenuta nello spazio di quattordici anni, e l’altra dal Duca in quattordici mesi, come si vedrà; oltre quello che è nel palco, e sarà nelle facciate, che sono ottanta braccia lunghe ciascuna et alte venti, che tuttavia vo dipignendo a fresco, per poi anco di ciò poter ragionare in detto Dialogo. Il che tutto ho voluto dire in fin qui non per altro che per mostrare con quanta fatica mi sono adoperato et adopero tuttavia nelle cose dell’arte, e con quante giuste cagioni potrei scusarmi, dove in alcuna avessi (che credo avere in molte) mancato. " 
Nessun accenno viene fatto alla presenza dell'affresco di Leonardo, forse perchè indigesto al potere.
Il Vasari non manca certo di autoincensarsi, e di esaltare da lecchino il potere incarnato da Cosimo I.


LE MISURE  DELLA SALA

Attualmente il Salone dei 500 misura 52 x 23 x 18 metri, secondo il Vasari misurava dopo il suo intervento, aveva fatto alzare il soffitto di 12 braccia, 38 x 90 x 32 braccia, ma in alcuni testi si parla di 13 braccia, quindi si arrivava a 33 braccia di altezza. Nella sua autobiografia parla di altre misure ancora:  "....Le quali storie, dico, trattano delle cose di Fiorenza, dalla sua edificazione insino a oggi, la divisione in quartieri, le città sottoposte, nemici superati, città soggiogate, et in ultimo il principio e fine della guerra di Pisa da uno de’ lati, e dall’altro il principio similmente e fine di quella di Siena, una dal governo popolare condotta et ottenuta nello spazio di quattordici anni, e l’altra dal Duca in 14 mesi, come si vedrà; oltre quello che è nel palco e sarà nelle facciate, che sono ottanta braccia lunghe ciascuna et alte venti, che tuttavia vo dipignendo a fresco, per poi anco di ciò poter ragionare in detto Dialogo,"
Il Vasari sembra entrare in contradizione, se le sue misure erano 38 x 90 x 32 ossia  22,24 x 52,48 x 18,562 con un fuorisquadra di 8 braccia,  nei dialoghi risultano essere 47, 45 metri di lunghezza per 11,66 di altezza.
 Secondo Francesco Albertini nel suo memoriale risalente ai primi del 1500: Nella sala grande nuova del consiglio maiore, lunga brac. 104, - circa 60, 65 metri e larga 40, metri 23,328 è una tavola di fra Philippo, li cavalli di Leonar. Vinci, et  li disegui di Michelangelo." 
Cosimo Conti scrive nel 1893: "Le dimensioni di questo sterminato salone sono di metri 53 in lunghezza per metri 22,42 di larghezza, e se il Vasari non ha errato nelle sue misurazioni, è questa la più gran sala che esista in Italia." 
Se facciamo un po di conti risulta che, rispetto alle misure originarie descritte dal Vasari, la larghezza della sala attualmente sarbbe più larga di cm 76, il chè lascia presupporre che le misure fossero state prese dal Vasari prima dell'esecuzione dei suoi affreschi. 
Lo spessore dei quali è di circa 16 cm, compresa la muratura e la piccola intercapedine presente sul lato est ispezionato.Togliendo 16 circa per lato, mancherebbero all'appello altri 44 cm.che potrebbero essere suddivisi sui due lati, come su di uno solo.Se fossero stati sulla parete ovest, ci sarebbe stato spazio sufficiente per inserirvi o occultare un'altro affresco, forse quello di Leonardo.

L'AFFRESCO

 Tornando all'affresco, la tesi più accreditata è che la sua scomparsa definitiva avvenne nel 1563, quando il Vasari ricostruì la Sala da cima a fondo, anche se esiste la testimonianza del Lomazzo che risale a molto più tardi. Cosimo I de Medici voleva cancellare quanto più fosse stato possibile, i ricordi dell’epoca repubblicana.
Se ne deduce che meno se ne parlava meglio era, damnatio memoriae ed il Vasari se ne guarda bene dal farci sapere che fine avesse fatto l'affresco. Ed è proprio questa sua reticenza che ci fa sospettare che la sapesse lunga in proposito. 

Leonardo dopo essersi recato a Milano attorno al 1506, abbandonando repentinamente l'opera iniziata, sembra sia tornato a Firenze diverse volte negli anni seguenti per problemi di successione e  per gestire i suoi beni. Nel 1508 si trovava  ospite della famiglia Martelli, illustri mecenati, assieme al suo storico amico il Rustici. Se avesse voluto finire l'affresco lo avrebbe potuto fare, anche per dimostrare che era il massimo artista dell'epoca e non temeva certo il confronto con Michelangelo. Leonardo a mio parere era dotato delle conoscenze giuste per affrontare la tecnica dell'affresco anche con metodi alternativi, come l'incausto. Forse anche lo stesso Cenacolo fu fatto per durare poco di proposito, o era incorso in un sabotaggio da parte di qualche invidioso. Negli ambienti fiorentini, si vuol tratteggiare la sua personalità come discontinua, inconcludente, lunatica, attaccata al denaro e quant'altro.Parrebbe logico quindi che egli volesse ricambiare un tale atteggiamento.
Da meticoloso osservatore, cronista, conosceva bene quella battaglia dai risvolti quasi grotteschi, ne aveva descritto gli aspetti crudi e si era riservato di passarla alla storia non più come un evento, come negli schizzi preparatori, ma come un'allegoria della bestialità dell'essere umano. 

LE COPIE

Per poter ricostruire la verità sull'aspetto dell'opera originale è importante passare in rassegna le copie perdute o tutt'ora esistenti.
L'aspetto della vasta composizione murale allestita e in parte dipinta da Leonardo è noto grazie a un'incisione di Lorenzo  Zacchia del 1558 che tramanda però solo il gruppo centrale della Lotta per lo Stendardo, forse desunto direttamente dalla pittura murale o da una tavola "sperimentale" dipinta, in formato ridotto da Leonardo che sembra essere stata vista ancora, nella sala del Papa in S. Maria Novella, verso il 1774 . Individuare quest'ultima ci premetterebbe di far luce sull'intera storia dell'affresco.

Maurice Walter Brockwell nel 1908 cita la presenza di una copia  presso il Victoria Albert Museum di Londra "...the only part of the composition which he actually executed in colour was an incident in te foreground which dealt with the battle of he standard. One of the many supposed copies of a study of the mural painting now hangs on the south east staircase in the Victorian Albert Museum "
Questa cosidetta copia potrebbe corrispondere, come vedremo in seguito alla Conversione di San Paolo del Rustici 

Viene citata un'altra piccola copia in Francia nella quale appaiono san Pietro ed il patriarca di Aquileia: "Auch von dies fem Schlachtenstück giebt uns Vafari eine bis aufs Kleinste ausgemalte Beschreibung, namentkich von zwey darin vorkommenden Pferden, die mit ihren Zähnen gegen den Feind, nicht minder erbost als ihre Reuter kämpften. Dann erscheint darin St. Peter, der dem Patriarch von Aquileja den Sieg verheißt"

Raphael Trichet du Fresne 1651 "...una ftanza del palazzo reale delle Tuellerie fotto la guardia del fignor le Maire pittore, come ogn' un sa, di non ordinario valore, nel quale fono dipinti due cavalieri in atto di togliere per forza a due altri una bandiera: il qual groppo faceva parte d' una opera maggiore, cioè del cartone ch'egli fece per la fala del palazzo di Fiorenza , come di fotto fi dirà , ma per la fua bellezza fu da lui dipinto in picciolo volume con gufto & amore incredibile . Qui oltre la furia de cavalli, e la bizzarria de vcftimenti , fi vedono le tefte de combattenti grinzute , infocate & infuriate , con aria tanto ftraordinaria e ftravagante, e per dir cofi caricata, e da mafcarone, eh' in un medefimo tempo deftano e paura e rifio nell' animo de' rifguardanti .. "

"Vuolfi , che da una parte di queft'azione fia tratto il piccolo quadro de' due combattenti, di cui avanti  di LIONARDO già fi parlò , e che in Parigi fi trova nel reale palazzo fra i quadri di DA VINCI quel monarca ."


Gaetano Bottari nella sua Raccolta descrivendo un'incisione della battaglia di Leonardo:
"Finalmente il sig. conte di Caylus ha intagliato poco fa ad acquaforte il disegno di questo quadro, che è presso il re, contentandosi di darcene solamente il contorno, benchè l'originale sia ombrato con la fuliggine. Questa sua stampa è alta o dita, e larga 12.2 . "
Molto interessante questo particolare della fuliggine, poichè  sembra suggerire che il dipinto sia stato esposto al calore del fuoco, quindi potrebbe trattarsi di quella prova di cui parla il Venturi  che fu rinvenuta nella sala del papa in S. Maria Novella verso il 1777.
Si menziona anche l'esistenza di una copia non finita attribuita al Bronzino.
" ...d'après une copie en petite que l'on croit être du Bronzino ou d'aprés un dessin qui est dans le palais Ruccellai à Florence"
 In oltreDans l'inventaire des tableaux des Médicis , de Van 1632 5 on voit noté : Un quadro in asso entrovi una battaglia di cavalli e cavalieri non finito , con ornamenti di noce intagliati e tocho d'oro lungo 8 3/4 circa j dissono di mano di Lionardo da Vinci.

Herbert P. Horne, famoso collezionista,  ci fornisce una descrizione dettagliata delle copie di cui ha notizie.
 "There are a number of ancient copies of the painting of the " Battle of the Standard." These include a copy in colour, on a reduced scale, preserved in the Depot of the Gallery of the Uffizi, which probably records the actual state of the painting as it was left by Leonardo, unfinished and without a background ; a slight sketch by Raphael in pen and ink, in the University Galleries at Oxford, No. 28 ; a small copy in colour, with an added background by some Milanese follower of Leonardo, in the possession of Madame Timbal, at Paris, which has been engraved by H. Haussoullier ; a large copy on canvas, probably of the size of the original, in the possession of the writer" 

Di quest'ultima copia simile nelle dimensioni all'originale che era in possesso del signor Horne, non vi è più traccia, sembra improbabile che sia esistito un dipinto di dimensioni così grandi, a meno che le misure dell'affresco non vadano ridimensionate.

"; the drawing by Rubens in the Louvre, No. 565, which was done after the original had disappeared, and of which there is an engraving by Edelinck. There is also a print on a folio sheet, inscribed : "Ex tabella propria Leonardi Vincii manu picta opus sumptum a Laurentio Zacchia Lucensi ab eodemque nunc excussum 1558." Its publication probably marks the date at which the destruction of the painting was determined upon. Lastly, among the Malcolm drawings in the British Museum, Add. No. i, is an early drawing of a portion of the " Battle of the Standard"

In casa di Adam Friedrick Oeser a Lipsia addirittura si fa riferimento ad un dipinto che potrebbe essere autentico di Leonardo:1837 " und gingen zu Herrn Oeser, den wir angezogen antrafen. Er zeigte uns 46 Medaillen von Albrecht Dürer auf Holz mit einer hart gewordenen Materie bossirt, es waren unter andern die Bildnisse Luthers, seines Weibes und verschiedener Kaiser, Könige, Churfürsten :c. dabei. Ferner in einem andern Zimmer die Bataille, die Edelinck nach Leonard da Vinci gestochen hat, gut kolorier und mit Freiheit gemalt, und die er gern für das Original ausgeben möchte."
Dall'inventario delle aste a gennaio 1800 "...das bekannten 4 reiter die Edeligk gestoken. Ein ganz vorglucklisch schones Gemalde das Edelingk in ruchsicht des ausdrucks and der haltung nicht erreicht hat. hohe 3 fuss breit 2 fuss 2 zoll (circa 84,6 x 62 cm), verkaufer A.F. Oeser"
Dal Auktioskatalog des Kunst handler J.M. Bottcher verkaufer A. F. Oeser, si tratta dei beni lasciati in eredità 
....Unter der wenigen spaten italienischen arbeiten finden sich zwei werke von Alessandro Magnasco..als Leonardo da Vinci bezeichtenes bild (vier reiter) A174 den von Gerard Edelibck gestocken wurde"

L'ICONOGRAFIA

L'iconografia a cui si fa da sempre riferimento è il disegno di Rubens  eseguito attorno al 1603, decisamente affascinate, pieno di furore e in sintonia con la descrizione che ne fa il Vasari. Ammesso e concesso che tale disegno sia interamente di mano del nostro Rubens, che si sa bene scopiazzava e ricalcava a man bassa disegni di altri autori famosi a lui precedenti, e li spacciava per suoi. Mi è sembrato opportuno approfondire l'aspetto stilistico e narrativo di tale opera, perchè mi era sorto il dubbio che non fosse farina del sacco di Leonardo. In sostanza, non riconoscevo nella grottesca pantomima dei volti e nel movimento esasperato della zuffa, lo stile di Leonardo.Da qui  si rafforzava l'ipotesi che il famoso affresco non corrispondesse esattamente all'iconografia pervenutaci. Si presume che il disegno di Rubens sia stato tratto da una precedente incisione del Zacchia risalente al 1558, in quanto ne ricalca l'iconografia, fatta eccezione di alcuni particolari.Era necessario quindi passare in rassegna le copie o presunte tali per cercare degli spunti.
COPIE ESISTENTI


Come potremo notare nessuna delle copie presenta misure simili:
Rubens- cm. 82 x 117
Timbal- cm.72,80 x 84
Doria- cm. 85 x 115
Uffizi- cm. 86 x 144 ?
Asta Baden Baden 1935 su tavola cm.51x 39
Incisione Edelink- cm.45,2 x 64
Incisione Rubens- cm. 54,2 x 63,7
Incisione Zacchia- cm.37,4 x 47
Zuffa Palazzo Vecchio- cm.  37 x 52 
Conversione san Paolo- cm. 111,5 x 194, contro i 116,72 x 175 descritti dal Vasari.
Museo Horne-   1540 x 2120 mm su tela
Reitergefecht holz 51 x 39 Lionardo
Zuffa palazzo vecchio  Collezione Loeser 37 x 52 
collezione  Oeser   84,6 x 62



                          Battaglia di Anghiari Rubens ?


Da notare le tre lune crescenti nello stendardo, forse un riferimento allo stemma della famiglia Strozzi appartenente ai fuoriusciti fiorentini. Lo stendardo è rosso come nella conversione di San Paolo ( battaglia di Anghiari) del Rustici.Rosso è il colore simbolo della famiglia Medici.


Lorenzo Zacchia
Questa incisione dai tratti grotteschi di ispirazione nordica, è bel lontana dallo stile di Leonardo, più dinamico e più pulito. Si dice che da questa copia si fosse ispirato Rubens.
La scritta in basso a sinistra è piuttosto interessante: "EX TABELLA PROPRIA LEONARDI VINCI MANV PICTA OPUS SVMPTVM A LAVRENTIO ZACCHIA LVCENSI AB EODEMQVE NVUN DECVSSUM " Tabella in latino ha questi significati: tavoletta, piccolo dipinto, quadretto, ex tabella significa quindi : tratto dalla piccola tavola dipinta dalla mano stessa di Leonardo. 
Appare chiaro che lo Zacchia si sia ispirato ad un opera su tavola di piccole dimensioni, forse un bozzetto o un'altra copia della porzione della battaglia dipinta da Leonardo, quindi non abbiamo la certezza che essa rappresenti esattamente quella parte di battaglia che Leonardo affrescò nel salone dei 500. Il Muntz pensa che lo Zacchia si sia ispirato ad un dipinto di Leonardo presente nel magazzino degli Uffizi. 

Tavola Doria
A mio modesto parere lo Zacchia potrebbe essersi ispirato alla copia Doria, che forse una copia non è. Il fondo in oro zecchino fu utilizzato anche da Leonardo .

copia magazzino degli Uffizi



                       Copia Timbal

Molto interessante la così detta copia Timbal finita in Francia. Questa copia è abbastanza simile alla copia della collezione  Horne, le armature sono più dettagliate, c'è il Tevere sullo sfondo ed un specchio d'acqua nelle vicinanze con due cigni, il volto del cavaliere che fugge è simile al manigoldo del Cristo Portacroce di Fernando Llanos.
Il mantello rosso corrisponde all'abbigliamento tipico della famiglia Medici.

Copia museo Horne

Questa copia su tela mostra un'inquadratura come se la scena dovesse continuare sotto e ai lati. L'espressione dei volti è meno esacerbata, in particolare quella del cavaliere che fugge ricorda il Cristo portacroce di Leonardo o quello del Llanos. E' decisamente diversa dalle altre in molti particolari, più simile a quella Rucellai. L'asta dello stendardo termina con una punta di lancia, particolare descrittivo conforme all'epoca, è visibile lo stendardo rosso come nella copia di Rubens. Molti i  toni del rosso presenti come nella copia di Rubens e in quella Timbal, come a sottolineare la presenza incombente della famiglia Medici della quale questo colore era un simbolo. Il paesaggio è variegato e si perde in lontananza dando un senso di profondità. Lomazzo dice: «.... siccome fece nella sala del consiglio di Fiorenza Leonardo, dove gli espresse con atti stupendi e scorti maravigliosi». E' l'unica descrizione nella quale si parla di scorci di paesaggio.  La presenza nello sfondo dell'acqua e di alcune imbarcazioni fa presumere che   si tratti del fiume Tevere all'epoca navigabile. I cirri arrovellati ricordano i disegni naturalistici vorticosi  di Leonardo. Gli alberelli ben dettagliati assomigliano a quelli del Bacco di Leonardo e completano la scena rendendola meno aggressiva e drammatica. Nonostante il clima nordico un po fiabesco e caramelloso, l'effetto compositivo, questa raffigurazione, a mio avviso, è quella che più si può accostare allo stile di Leonardo.


Zuffa di Cavalieri collezione Loeser Palazzo Vecchio

Su questo dipinto su embrice scenderò più in dettaglio in seguito.

Gianfrancesco Rustici -Conversione  di san Paolo (battaglia di Anghiari)



                                        Edelinck incisione

L'incisione fatta da Edelinck sarebbe tratta dal disegno di Rubens e viene così descritta:
"Un combattimento di quattro cavalieri, che contrastano una bandiera. Questa stampa, che è alta 17. dita, e 22. e 6. linee di larghezza... Egli l’ha intagliò a Anversa avanti di venire a fissarsi in Francia, onde non bisogna aspettarsela bella come l’altre sue opere fatte dipoi. Vi si legge da piedi: L. d’ la finse pin; che così si pronunzia in Fiammingo il nome di Lionardo. Il cattivo gusto, che regna nel disegno di questa stampa, farebbe credere, che ella fosse intagliata sul disegno di qualche Fiammingo; e pur questo disegno può essere, che fosse cavato dal quadro stesso, del quale parla  Trichet du Fresne, che a suo tempo era del Sig. la Maire eccellente Pittore di prospettive. Questo è un frammento della storia, che Lionardo doveva dipingere nel salone del Consiglio."

"Pezzo in grandissimo foglio di traverso. Combattimento o mischia di quattro guerrieri  detto il combattimento dei quattro cavalieri, ma veggonsi altresì altri tre guerrieri senza cavalli già vinti e giacenti a terra. Dicesi soggetto inciso da un cartone disegnato dal tanto celebre Leonardo da Vinci, col quale volle rappresentare le disfatta del Piccinini. Al basso poi a sinistra per errore, invece di scrivere il nome del da Vinci, trovasi L. D. la finse pin., errore derivato probabilmente dalla diversa pronuncia dell'U consonante; e nel mezzo sta G. Edelinck  Stampa bella e rara." 
Vorrei aprire una parentesi sull'impostazione della Battaglia di Anghiari, se facciamo riferimento all'incisione di Edelick che è speculare alle copie, mi era sorto il dubbio che anche l'originale fosse così, anche se spesso le incisioni erano speculari.In sostanza analizzando la composizione speculare si ottiene un effetto compositivo più equilibrato e dinamico, il movimento dell'azione parte da destra verso sinistra, come era consuetudine per Leonardo come si può notare da alcuni suoi bozzetti. 

Adorazione dei Magi Leonardo- particolare -


bozzetto di Leonardo



Bozzetto di Leonardo

L'ALLEVO SPAGNOLO

Fernando Yanez de Almedina?
Fernando Yanez de Almedina
Fernando Llanos o Yanez del Amedina


In alcuni dipinti dell'allievo spagnolo di Leonardo, ritroviamo le immagini dei due cavalieri della battaglia di Anghiari, nelle vesti di due manigoldi che sembrano un copia incolla. Potrebbe trattarsi di "Ferrando spagniuolo"(identificato a volte con Fernando Llanos, altre con Yanez del Almedina) nominato tra gli allievi nel 1505 durante l'esecuzione dell'affresco della battaglia di Anghiari. Questo pittore nel 1506 era improvvisamente rientrato in Spagna abbandonando l'incarico. L'iconografia è quella tipica  del Cristo Portacroce deriso e minacciato. Curiosi i gesti di disprezzo dei manigoldi: uno è  quello detto della "fiche"con il pollice chiuso tra l'indice e il medio, è un insulto di tipo sessuale, citato anche da Dante. Anche se già in epoca romana,oltre all'insulto aveva una valenza scaramantica. E' come l’esibizione dei genitali, in quanto tende a raffigurare un soggetto attivo che sottomette sessualmente un soggetto passivo.Ma anche la mano destra del Cristo è deforme e irreale.Il berretto del manigoldo è di colore violetto, colore spesso utilizzato da Leonardo, indossa una sorta di mantello con bavero  in pelliccia. La veste regale potrebbero essere un riferimento a un personaggio di alto rango inviso a Leonardo. Se ne deduce che l'immagine dei due manigoldi possa rappresentare una chiave di lettura del suo pensiero politico.




Leonardo ?
Questo dipinto simile a quello di Llanos potrebbe essere dello stesso Leonardo.


Ghirlandaio 1505 circa

Sembra che la figura ambigua del manigoldo, o chi per lui abbia contagiato anche il Ghirlandaio


PARTICOLARI ICONOGRAFICI



Disegno attribuito a Leonardo


Da questo disegno possiamo notare la differenza nel tratteggiare gli elmi, le armature e le armi che sono, rispetto alle copie della battaglia di Anghiari, meno arzigogolate. Il cavaliere impugna una storta, arma tipica dell'epoca, come  nelle copie del Commodi, di Edelinck e di Rubens, Questo disegno, se è veramente di Leonardo e non del Rustici o del Verrocchio, rappresenta un riferimento identificativo importante per ricostruire l'originale.

Storta utilizzata alla fine del 1400

Sia nel disegno di Rubens  che nel suo dipinto e nell'incisione di Edelinck  che in quella del Bergeret, i due cavalieri si affrontano con due scimitarre "storte" incrociandole. Ciò non succede nella copia dello Zacchia, in quella Rucellai e in quella degli Uffizi considerate più antiche, nelle quali vengono utilizzate altre armi, o una sola storta.Io mi sento di porre in pole position quella del Bergeret, anche se molti critici l'hanno considerata farlocca.

Copia Andrea Commodi incisa da Bergeret

Marco Tabarrini riferisce:
 "Nel disegno ch' è presso il Bergeret vedesi anche il capitano Piccinino precipitato da cavallo e il destriero fuggente. Sebbene alcuni abbian difeso l'autenticità di questo gruppo, riconoscendolo per uno studio fatto da qualche discepolo di Leonardo, pure si tiene, e con assai più ragione, per una contraffazione ; poco rileva se di mano antica o moderna. "
Egli identifica il Piccinino con il cavalierecaduto da cavallo.

Copia Rucellai disegno




Copia Uffizi - disegno -

Le due copie sono molto simili, Il disegno degli Uffizi fu ritenuto in passato come un bozzetto originale di Leonardo. C'è da chiedersi se lo Zacchia si sia ispirato a queste o alla tavola degli Uffizi.Una peculiarità di queste due copie è che i cavalieri indossano dei calzari e non sono a piedi nudi come nelle altre copie.

ANALISI DEI PERSONAGGI

Tentare di identificare i personaggi  presenti nell'affresco è un esercizio nel quale si sono cimentati in molti.Io sono partita dalla figura più emblematica, quella con il berretto rosso al centro che impugna la storta.
Gli studiosi hanno spesso individuato il Piccinino in questa  figura al centro dell'affresco, ma le caratteristiche morfologiche del personaggio non vi si accostano.

Ritratto di Nicolò Piccinino


Neri Capponi



Inizialmente anch'io mi ero convinta che fosse la figura del Piccinino, spesso rappresentato con un cappello rosso, in seguito, tramite l'analisi dei dipinti del Poccetti che si trovano nel palazzo Capponi, ho ipotizzato che potesse trattarsi di Neri Capponi. Questo illustre condottiero che aveva partecipato alla battaglia di Anghiari ed era molto stimato in ambiente fiorentino. Ne consegue che il cavaliere che fugge via trascinando l'asta dello stendardo appartenga alla famiglia dei Medici, forse Bernardetto. Lo si può desumere dalla tipologia dell'armatura ricca di riferimenti alle corna d'ariete e all'ammonite. La propaganda di corte, puntava molto più sui legami della famiglia con il battagliero Marte, il protettore di Firenze che aveva il segno dell’Ariete.
 Gli altri due cavalieri potrebbero essere Nicolò Piccinino, per via dell'elmo di foggia sforzesca e il  figlio Francesco.


Stemma sforzesco

Elmo ambito sforzesco



Verrocchio


Ariete emblema mediceo


Cosimo de Medici



Centauro simbolo della famiglia Medici

La presenza o meno nelle copie della testa del cavallo nel cavaliere che fugge potrebbe essere un indizio per valutare quale copia sia più corrispondente all'originale. La  testa appare anche minimamente nelle copie più antiche come il dipinto degli Uffizi, l'incisione dello Zacchia, il dipinto  Doria e Timbal e il disegno Rucellai, non la ritroviamo nel disegno e nel dipinto di Rubens, nel disegno attribuito a Leonardo, in quello di Raffaello, nell'incisone di Edelick e in quella Bergeret. Si potrebbe ipotizzare che la mancanza della testa del cavallo suggerisca che l'immagine del cavaliere sia assimilabile a quella di un centauro, simbolo mediceo, tramite il quale Leonardo vuole suggerirci la sua posizione ideologica nei confronti della famiglia Medici e del suo strapotere. Già nel XIV secolo si tornò a vedere nel Centauro una figura negativa, quale quella del demonio e diventò il simbolo della sensualità sfrenata, dell’ irrazionalità, della malvagità, ma soprattutto di uno dei sette peccati capitali: l’ Ira.Questa mia ipotesi viene rafforzata dalla descrizione dell'affresco del Bossi, che individua il perdente nel cavaliere che fugge con lo stendardo, come se Leonardo volesse capovolgere i fatti della battaglia.



GIOCANDO CON LA BATTAGLIA DI ANGHIARI


Un'altra ipotesi, un tantino fantasiosa sull'identità del cavaliere al centro con il copricapo  rosso che sembra dirigere i giochi è quella che si possa trattare dello stesso Leonardo.Nei suoi presunti autoritratti sembra voler evidenziare il suo lato oscuro ricorrendo ad impietose autocaricature.



Autoritratto di Leonardo







.




I DISEGNI PREPARATORI

La nutrita serie di disegni, così detti preparatori della battaglia, che di preparatorio, a mio avviso non hanno gran chè rispetto all'affresco, sono più che altro degli studi inerenti all'anatomia dei corpi di animali e soldati coinvolti, forse loro malgrado, nella tensione drammatica della battaglia.







L'ESATTA ICONOGRAFIA

Per capirne di più sull'originale  rappresentazione della battaglia, bisognava ripartire dagli schizzi.

Disegno di Leonardo
Si presume che Leonardo avrebbe rappresentato la furia dei cavalli nella mischia come nei suoi schizzi, ma a quanto pare nelle copie i cavalli appaiono meno feroci. 

Andando a ricercare altre descrizioni mi sono imbattuta in questa abbastanza singolare:
"Une partie du tableau était déjà peinte sur le mur :quatre cavaliers se sont empoignés et se battent pour un étendard ; la hampe est cassée et va voler en éclats ;l'étoffe est déchirée en plusieurs morceaux. Cinq mains ont saisi la hampe et avec ardeur la tirent de côtés différents. Des sabres luisent, levés. A la façon dont les bouches sont ouvertes, on voit qu'un cri surnaturel s'en échappe. Les visages convulsés des hommes ne sont pas moins terribles que les gueules de fauves qui ornent les cimiers. Les chevaux euxmêmes subissent la contagion de cette rage : dressés sur leurs pieds de derrière, ils ont enchevêtré leurs
pieds de devant et, les oreilles rabattues, l'œil féroce, la lèvre retroussée, tel de vrais fauves, ils se mordent. Par terre, dans une boue sanglante, sous les sabots des chevaux, un homme en tue un autre en le tenant par les cheveux et heurtant sa tête contre le sol, ne s'aper-
çoit pas dans sa fureur que tous deux seront à l'instant écrasés."

Questa descrizione riporta una scena cruenta con la presenza dell'asta dello stendardo che vola in pezzi, lo stendardo  che è strappato, l'asta che viene afferrata da cinque mani, i cimieri degli  elmi che sono ornati con teste di belve,il cavalli si mordono a vicenda,vi è una pozza di sangue tra le zampe dei cavalli e i soldati in terra sono solo due.


     GIOVAN FRANCESCO RUSTICI

Gianfrancesco Rustici -Conversione  di san Paolo


Questo dipinto sarebbe l'unico attribuito al Rustici famoso scultore e noto occultista, amico fraterno di Leonardo.Nonostante il titolo attribuitogli, si può ben assimilare ad una  descrizione della battaglia di Anghiari, vediamo il perchè. Sullo sfondo appaiono i resti di un tempio pagano, una volta esistente in quelle zone, e due distinti paesi sulle colline che si fronteggiano, potrebbero riferirsi a Borgo san Sepolcro e ad Anghiari, la cui battaglia ebbe luogo nella piana.La parte del paesaggio sullo sfondo ha un aspetto quasi onirico  che si distacca dalla parte bassa del dipinto nello stile pittorico, potrebbe essere stata eseguita da un'altra mano o in un secondo tempo. L'aspetto è quello di un bozzetto o di un non finito.La parte in basso presenta delle peculiarità assimilabili allo spirito di Leonardo: i cavalieri, fatta eccezione di due che indossano un'armatura, sono praticamente nudi e riprendono pari pari alcuni disegni definiti preparatori della battaglia.La loro nudità dovrebbe sottolineare la loro bestialità e aggressività al pari di quella dei cavalli che sembrano quasi impazziti come guidati da una furia trascendente.Alcuni cavalli compiono dei gesti autolesionisti mordendosi da soli. Al centro della composizione un destriero bianco con bardatura rossa ed un cavaliere disarcionato che  ricorda la descrizione del Machiavelli dell'unica vittima della battaglia caduta e calpestata dai cavalli. Altra peculiarità è il fatto che in cavalieri non brandiscono alcuna arma, come se fossero state bandite dalla scena.La dinamica dell'azione è in pieno stile con la descrizione che Leonardo ci ha tramandato di come si rappresenta una battaglia, del resto lui definiva la guerra una " pazzia bestialissima". Questo dipinto si trovava in casa del  Martelli, noto mecenate fiorentino che aveva ospitato oltre al Rustici anche Leonardo per un certo periodo di tempo. 
Dal Vasari :Dipinse Giovan Francesco in un quadro lungo tre braccia, ed alto due, una conversione. di San Paolo a olio, piena di diverse sorti cavalli sotto i soldati di esso Santo in varie e belle attitudini e scarti; la quale pittura insieme con molte altre cose. di mano del medesimo è appresso gli eredi del già detto Piero Martelli a cui la diede. "
Se vogliamo essere pignoli le dimensioni descritte dal Vasari sono diverse da quelle attuali: tre braccia corrispondono a cm 174,96 e due a cm 116,64 contro le attuali :cm 194 x 111,5, lo scarto non è grande , ma mi autorizza a sospettare che il dipinto del Rustici descritto dal Vasari fosse un altro.
 Dato che il dipinto non è, a mio parere, assimilabile allo stile del Rustici, c'è la probabilità che si tratti di un bozzetto di Leonardo per il cartone. Percorrendo questa ipotesi, si può affermare che l'iconografia dell'affresco sia stata differente o,comunque sia stata cambiata in corso d'opera.



Rustici
Gianfrancesco Rustici

Lo stile del Rustici, come si può notare è più morbido e meno drammatico, quasi di ispirazione classica.
Lo stesso groviglio e gli scatti di cavalli della Conversione di san Paolo lo ritroviamo in diversi disegni di Leonardo. non avrebbe avuto senso che il Rustici li scopiazzasse.


Bozzetto di Leonardo






Bronzo attribuito alla scuola di Leonardo


Disegno di Leonardo





Giovan Francesco Rustici Zuffa




Giovan Francesco Rustici aveva modellato in creta ben quattro episodi della Battaglia di Anghiari, si pensa attorno al 1508 ispirandosi al cartone di Leonardo. Ma le dimensioni sono piccole  il chè mi ha fatto pensare che fossero più che altro dei bozzetti preparatori. Il mio sospetto è che Leonardo ci abbia messo lo zampino, del resto,che lui producesse in creta modelli dei suoi bozzetti, è noto, resta da capire come mai siano quattro, forse anche l'affresco che aveva progettato per la sala del Gran Consiglio consisteva in quattro pannelli?

Retro Zuffa Rustici
Osservando il retro di questa scultura si può ipotizzare che sia un bozzetto per un dipinto essendo sviluppato unicamente nella parte frontale.
"..Voleva egli che il travaglio di plasma.... precedesse [la pittura] come vero modello da cui trarne le « imagìni »
"Il libro dell' anotomia de cavalli è mentovato dal Vafari ,dal Borghini e dal Lomazzo . Ejfendo fiato egli eccellente nel plafticargli, e nel dipingergli, come ne fà fede il quadro de'quattro Cavalieri combattenti fopra accennato, non vi è dubio che l'opera non fujfe di firaordinarìa bellezza ed utilità."

Un altro indizio della non corrispondenza delle copie con l'originale la possiamo attingere da un disegno del Rubens nel quale viene rappresentata una lotta per uno stendardo in stile leonardesco. Sappiamo che gli stendardi erano più d'uno, quindi appare riduttiva la definizione spesso presente di "Lotta per lo stendardo" in riferimento alla Battaglia di Anghiari. Questo disegno potrebbe rappresentare la copia di un'altra porzione del cartone di Leonardo.

Rubens disegno
scuola di Rubens su rame


Rubens



BOZZETTO DI LEONARDO SU EMBRICE 
Zuffa di Cavalieri collezione Loeser Palazzo Vecchio su embrice
Attribuito alla scuola del Vasari




Ma torniamo al dipinto su embrice; sembra proprio che si sia trattato di un esperimento o di un bozzetto preparatorio perchè non finito.Questi potrebbe effettivamente appartenere alla mano di  Leonardo, almeno in parte, in quanto viene utilizzata la tecnica dell'affresco su embrice ma con l'utilizzo di tempera grassa, la stessa utilizzata da Leonardo  per il Cenacolo e forse per la stessa Battaglia di Anghiari.

La caratteristica di questo bozzetto attribuito alla scuola del Vasari presente in Palazzo Vecchio nella collezione Loeser  è che non riproduce lo stile del Vasari i cui cavalli sono ben diversi, più sinuosi e manieristici.I cavalieri sono 6 e i cavalli digrignano i denti come nella descrizione del Vasari.Il cavaliere disarcionato che sta per essere calpestato dai cavalli potrebbe essere quello menzionato dal Machiavelli. 

Leonardo

Da notare la somiglianza tra questa testa di cavallo con quella dell'embrice.

Vasari

Il fatto che l'embrice riprenda la parte centrale dell'affresco del Vasari della battaglia di Torre san Vincenzo potrebbe significare: o che sia un bozzetto preparatorio dello stesso affresco,oppure che si tratti di un  esperimento effettuato da Leonardo per testare una nuova tecnica con l'utilizzo di tempera grassa. C'è un particolare comune tra la battaglia su embrice e la Conversione di san Paolo attribuita al Rustici, si tratta della sagoma di un tempio pagano sulla destra in alto presente nei due dipinti.In quello su embrice è poco visibile, ma si riesce ad intravedere. Questo mi ha fatto propendere per l'attribuzione dei due dipinti, anche se in parte, a Leonardo.

Il Bini (1518), come abbiamo già visto, fa riferimento “all’olio di seme di lino che gli fu falsato”, " Lionardo da Vinci fu nel tempo di Michele Agnolo: et di Plinio cavò quello stucco con il quale coloriva, ma non l'intese bene: et la prima volta lo provò in uno quadro nella Sala del Papa che in tal luogo lavorava, et davanti a esso, che l'haveva appoggiato al muro, accese un gran fuoco, dove per il gran calore di detti carboni rasciughò et secchò detta materia"

 Carlo Pedretti parla di una tavola "sperimentale" dipinta, in formato ridotto, da Leonardo che sembra essere stata vista ancora, nella sala del Papa in S. Maria Novella, verso il 1774.
I tratti con cui sono abbozzati i cavalieri ricordano alcuni disegni di Leonardo.E qui si apre un'altra ipotesi, cioè che il Vasari abbia voluto indicare il luogo dove si trovava o dove è stato occultato l'affresco di Leonardo riportando nel suo affresco alcune immagini tratte dallo stesso.


Biscaino


RAFFAELLO

I cronisti dell'epoca e in seguito si sperticarano ad affermare che i cartoni di Leonardo e di Michelangelo furono la scuola del mondo, da tutte le parti affluivano pittori per ammirarli e prenderne spunto, tra questi spesso si nomina Raffaello che ne fu quasi stregato. Si citano però solo due o tre suoi schizzi della battaglia, non si sa bene se tratti della parte di affresco eseguita o dai cartoni o dagli stessi disegni preparatori di Leonardo. Di tutto questo interesse da parte di tanti artisti dell'epoca però non vi è traccia a quanto pare, gli stessi allievi di Leonardo o imitatori e copisti non ci hanno lasciato nulla, salvo l'allievo spagnolo.

Tornando a Raffaello; nell'affresco effettuato tra il 1511 e il 1514 con l'aiuto degli allievi si nota il cavallo bianco che ha molto in comune con quello del cavaliere dipinto su embrice. Raffaello potrebbe essersi ispirato al cartone di Leonardo?

Incontro tra Leone Magno e Attila Raffaello e scuola


                Schizzo di Raffaello dalla Battaglia di Anghiari



Nello schizzo attribuito a Raffaello troviamo degli elementi diversi  dalle copie pervenuteci. Se osserviamo i due soldati in basso in primo piano, quello sopra sta tentando di strozzare quello sotto di lui, non sta impugnando un pugnale per colpirlo,come appare nella copie, eccetto quella del Bergeret. L'intersecarsi delle zampe dei cavalli è differente, l'asta dello stendardo conteso è più lunga.Ma sopra a tutto i cavalieri sono 5 come nella descrizione del Vasari. Il cavallo visto dal retro che si allontana sullo sfondo fa presagire un senso di profondità della composizione, che non ci è pervenuta.Il Vasari riferisce che Raffaello quando si trovava a Firenze nella sua prima visita, effettuata tra la metà di ottobre del 1504 sino a luglio 1505, e in seguito nell'estate del 1506, deve aver avuto accesso solo al cartone di Leonardo. Questo schizzo forse risale alla sua prima visita
 Che Raffaello,  si sia  esercitato nel fare una copia di una parte del cartone, mi sembra poco probabile,dato che si tratta solo di uno schizzo.Anche se avesse visto l'affresco o quel che ne restava, lo avrebbe riprodotto in maniera più dettagliata.


Disegno di Raffaello

Disegno di Raffaello



  disegno di Raffaello 

 Raffaello Albertina Vienna


Non si sa a quale battaglia si riferiscano questi disegni di Raffaello, egli potrebbe avere attinto agli schizzi di Leonardo, un'altra ipotesi è che lo stesso Raffaello, nella speranza di ottenere dal Soderini l'incarico di affrescare la battaglia, abbia prodotto degli schizzi. Del resto non risultano essere stati utilizzati come bozzetti per altri suoi lavori.

Giulio Romano
Michelangelo

Michelangelo

Michelangelo copia battaglia di Anghiari?


Questi disegni attribuiti a Michelangelo ricordano da vicino quelli di Leonardo, forse anche lui si era cimentato nel rappresentare la furia di una battaglia tra cavalieri o aveva tratto degli spunti dal cartone di Leonardo.

Lo stesso Leonardo nel progettare la sua battaglia sembra aver attinto abbondantemente all'iconografia precedente, ne è un esempio lampante il bassorilievo di Bertoldo di Giovanni.

Bertoldo di Giovanni

DOVE SI TROVA L'AFFRESCO?


" Addì 6 di giugno 1505 in venerdì, al tocco delle 13 ore, cominciai a colorire in palazo. Nel qual punto del posare il pennello, si guastò il tempo e sonò a banco, richiedendo li omini a ragione. Il cartone si stracciò, l'acqua si versò, e ruppesi il vaso dell'acqua che si portava. E subito si guastò il tempo e piovve insiano a sera acqua grandissima. E stette il tempo come notte." 


 Se il cartone si stracciò, probabilmente fu necessario rifarlo almeno in parte. La furia delle intemperie come poteva raggiungere la parete dove era stato posto il cartone? Se Leonardo aveva provveduto ad impannare le finestre come risulta dalla nota sottostante, da dove potevano entrare il vento e la pioggia così forti da rovesciare il vaso e da stracciare il cartone? "31 dicbr 1504. Rede di Narcho del Forese e conpagni, merciai, per più bulicete e nastri per impannare la finestra dove lavorava Lionardo da Vinci. "

L'impannatura delle finestre aveva lo scopo di proteggere gli ambienti dalle intemperie, ma anche di creare una luce diffusa, non troppo diretta, per poter dipingere meglio
Da Leonardo:
 " Il lume da ritrarre di naturale vuoi effere a Tramontana , acciò non faccia mutazione ; e fé lo fai a mezzodì , tieni fineftre impannate , acciocché il Sole alluminando . tutto il giorno non faccia mutazione . L' altezza del lume deve eflere in modo fituata, che ogni corpo faccia tanto lunga 1' ombra fua per terra , quanto è la fua altezza . Lo flefib al Cap. 2574. foggiunge . Sia la fineftra delle* Stanze de' Pittori fatta d' impannata fenza tramezzi , ed occupata di grado in grado inverlo li fuoi termini di gradi coloriti di nero , in modo, che il termine de' lumi non fia con giunto col termine della fineftra „ . In quella guifa fi avranno fopra la figura le ombre dolci , e sfumate co' loro riflefli , le mezze tinte colle loro degradazioni , ed i lumi primarj fi dilegueranno da' fecondi, e terzi in tutte le loro diminuzioni , a tenore delle parti, che più, o meno fi avanzano. I gran Maeftri , conofcendo il vantaggio di quefto lume , fi fono prefi la libertà di fervirfene per fare le loro iflorie in campo aperto ."

Da questa descrizione si può presupporre che Leonardo fece impannare le finestre perchè aveva iniziato la sua composizione partendo dalla parete che prendeva luce da sud.
La cosa strana è che nessuno dei cronisti o storici dell'arte abbia mai chiaramente dichiarato  su quale parete o porzione nella sala del Consiglio si trovasse l'affresco o fosse posto il cartone.Fatta eccezione per la cronaca di Bartolomeo Cerretani dove  leggiamo: "In questo tempo Lionardo da Vinci, maestro grandissimo et fiorentino di pittura, cominciò a dipignere la Sala del Consiglio in quella faccia sopra dove stanno e 12 Buoni Huomini, et fessi amattonare quel’andito del Palazo in Sala con matoni quasi tonddi, et apichòsi in Sala detta nove bandiere tolte al signore Bartolomeo d’Alviano più giorni fa"



Molto è stato speculato a proposito del luogo dove sedevano i Buonuomini, ma non è emersa nessuna certezza. Avendo Leonardo cominciato per primo, si presume che abbia scelto per il suo affresco la parete più idonea o emblematica.Considerando che la luce nelle copie della battaglia di Anghiari proviene da sinistra bisogna cercare di capire quale fosse la fonte di luce che corrispondeva a questa impostazione.All'epoca degli affreschi del Vasari,la stessa fonte di luce, se consideriamo l'ipotesi della composizione speculare, come nell'incisione dell'Edelinck, la ritroviamo nella battaglia di Torre san Vincenzo.
Lettera scritta da Michelangelo  nel gennaio 1534 -
Di Firenze a ser Giovan Francesco Faitucci in Roma: Messer Giovan Francesco - Voi mi cercale per una vostra come stanno le cose mia con papa lulio. Io vi dico che se potessi domandar danni e interessi ,
più presto stimerei avere avere , che avere a dare. Perchè quando mandò per me a Firenze, che credo fussi el secondo anno del suo Pontificato, io avevo tolto a fare la metà della sala del Consiglio di Firenze, cioè a dipignere; che n' avevo tre mila ducali ; e di già era fatto el cartone , come è noto a tutto Firenze; che mi parevon mezzi guadagnati. 
Da questa lettera sembrerebbe che a Michelangelo fosse stata affidata una metà  della sala e quindi l'altra era già stata destinata a Leonardo.


Giorgio Vasari Battaglia di Scannagallo Palazzo Vecchio

CERCA TROVA

Dato che non vi era certezza sulla parete da scandagliare alla ricerca dell'affresco di Leonardo o dei sui resti, era necessario reperire degli indizi. La scritta "CERCA TROVA", scoperta sullo stendardo della battaglia di Scannagallo, poteva essere uno di questi, ma non necessariamente doveva riferirsi a quell'affresco. Poteva essere una messaggio criptato che portava altrove.
E' da qui che sono partita, innanzi tutto chiedendomi chi potesse averla scritta, non essendo scontato che l'avesse apposta il Vasari.
- TROVA- è la scritta più intrigante che si presta a varie decriptazioni, se anagrammata.



La prima è TORVA, aggettivo usato in riferimento alla TORVA MEDUSA,  torva sta per spaventosa che incute terrore,così veniva chiamata all'epoca la testa della Medusa o della Gorgone.La stessa testa che ritroviamo all'estremità in basso a sinistra della Battaglia di Torre san Vincenzo del Vasari. La testa si trova sullo scudo del cavaliere ferito, la sua caratteristica è che si trova sul retro dello scudo, non sulla parte esterna, dove si dovrebbe trovare. A mio parere potrebbe rappresentare un chiaro indizio di qualcosa che si trova a rovescio, cioè dietro, come in uno specchio. La testa di Medusa è un chiaro riferimento a Leonardo da Vinci che la dipinse su di una rotella o scudo  di legno da piccolo e in seguito la rappresentò in un dipinto ripreso da Caravaggio, ora scomparso. Una copia di testa di Medusa tratta da un originale di Leonardo, è presente agli Uffizi. La Medusa e foriera di presagi e anche protettrice dei segreti e dei tesori.La testa ha dei capelli inanellati simili a quelli umani, Leonardo era noto per i suo riccioli fluenti, l'immagine della testa di Medusa potrebbe essere rappresentativa della figura di Leonardo. 

VARCO CETRA questa lettura è assimilabile alla precedente in quanto potrebbe significare sia che c'è una piccola apertura nel muro al di sotto della cetra, sia che bisogna varcare la cetra. Ma cos'è questa cetra? Nell'antichità veniva chiamato cetra un piccolo scudo di cuoio a forma di lira o cetra, in effetti la forma dello scudo con la Medusa è simile ad una lira.Due indizi preziosi per ricercare in quel punto qualcosa.
TRAVO forse si riferisce alla presenza di una trave che si trovava in corrispondenza con l'affresco, ma è un'ipotesi debole.
RAVAT che significa Maestro in ebraico, quindi cerca il Maestro
VORTA, nel senso di porta,l'affresco potrebbe trovarsi sopra una porta.
VARTO significa quarto, il quarto affresco del Vasari corrisponde alla battaglia di Torre san Vincenzo.
AVORT, aborto, inteso come lavoro malriuscito.
TORCE CAVRA:La Cavra detta anche capra:" Arnese formato d' una travetta piana o travicello posato per lo piano, o a pendio sopra tre, e talvolta sopra quattro piedi, a guisa di trespolo, a uso di regger ponti, o palchi posticci, die si l'anno a chi dipigue mura, o l'altro lavoro intorno agli edifizj , e servono ancora a molli artefici, sebbene talvolta con | qualche piccola varietà nella forma , per usi diversi" 
CAPRA  È uno speciale meccanismo derivante dall'associazione di organi elementari, quali l'argano e il paranco (o la taglia). Allo stesso tipo della capra appartengono anche l'antenna e la biga, e tutte possono comprendersi sotto il nome generico di gru, per quanto nelle tre prime macchine il peso venga sollevato nell'interno dell'attrezzo o dei suoi sostegni, mentre nella gru propriamente detta il peso viene sollevato secondo una verticale che passa fuori della base d'appoggio.
La capra serrata si compone di tre travi disposte a forma piramidale, unite in alto con forte legatura di fune o con una caviglia di ferro, che passa attraverso alle teste delle tre travi e serve anche a sostenere la staffa di ferro a cui è attaccata la taglia fissa. I calci delle travi sono tenuti insieme da funi, o sono addirittura conficcati nel suolo. Alle capre si adattano anche verricelli e argani, e la fune può essere azionata da argani o verricelli differenziali. Delle tre travi che formano sostegno, le due che portano il verricello sono dette gambe e l'altra piede: tali sostegni sono di legno o, per capre di forte portata, di ferro. - capra b. Struttura formata da tre travi (di legno, o di ferro per carichi piuttosto grandi) disposte a piramide e unite da una legatura al vertice, dove è attaccato un apparecchio di sollevamento: paranco, taglia, carrucola di rinvio di un verricello, ecc.

Va notato che la scritta CERCA TROVA ha una prospettiva errata per via della grandezza delle lettere, in oltre la lettera V potrebbe corrispondere ad  una U, quindi TROUA, anagrammandola otteniamo RUOTA: cerca la ruota. 
Oppure RUOTA, sia nel senso di marchingegno, sia come imperativo di ruotare, eliminando la parola cerca, quindi un invito a  girare intorno.

TAURO che significa costellazione del Toro, Leonardo da Vinci era nato sotto quel segno. Il Vasari aveva uno spiccato interesse per l'astronomia e l'astrologia.
Il toro rampante era il simbolo che appariva sullo stemma della casata di Nicolò Piccinino, il condottiero sconfitto nella battaglia di Anghiari che si svolse il 29 giugno del 1440, anche quel giorno risulterebbe essere  sotto la costellazione del Toro.Due tori erano l'emblema del Vitelleschi, il quale fu accusato di tradimento per aver congiurato con il Piccinino durante la battaglia di Anghiari.
TORRE ACCUA : togliere l'acqua
Un'altra ipotesi è che la V stia per Vinci e che la parola da cercare sia TROA, dalla quale si può estrapolare ARTO
Se anagrammiamo le due parole insieme otteniamo altri spunti interessanti:
TRACCE OVRA, che potrebbe essere interpretato come :tracce, che all'epoca significava anche primo abbozzo di un'opera.
VARCA CERTO un invito ad andare oltre
RETRO CAUCA: caua significava vuota, quindi sul retro è vuota.
oppure può significare che dietro la parete c'è un vuoto. come suggerito anche da CERCAR VOTA, un invito a scoprire una cavità.Alcuni hanno ipotizzato il significato di TORRE VACCA, poco plausibile perchè è necessario fare riferimento al vocabolario utilizzato all'epoca. tutt'alpiù TORRE potrebbe significare togliere, rimuovere la vacca, forse un riferimento al personaggio che ha sembianze femminee, nel senso di prostituta che appare nella battaglia di Massimiliano d'Asburgo, mentre aiuta un cavaliere a salire a cavallo adiacente alla battaglia di Torre san Vincenzo.
ACCORTARE V: nel senso di accorciare e  V come Vinci
CARCERATO, questa parola si ottiene eliminando la V di TROVA,V potrebbe essere riferito a Vinci, quindi Leonardo imprigionato o rinchiuso da qualche parte..
VARCA CORTE. Più plausibile in quanto varare significa attraversare e Corte che,all'epoca, significava aula, sala udienze. L'invito è quello di ricercare sulla parete opposta.
VARCA RECTO- nel senso di cercare sotto la parte frontale dell'affresco.

Un altro elemento curioso è quella specie di beccuccio, ganghero, uncino di foggia metallica dipinto sulla bandiera accanto a quella con la scritta CERCA TROVA. Elemento decisamente avulso dal contesto, ma che potrebbe essere collegato alle origini di Anghiari che rientra infatti fra uno dei principali toponimi di origine longobarda che si trovano in Toscana, e deriva da “ango”, che significa uncino, gancio.

La consuetudine di staccare gli affreschi, soprattutto allo scopo di salvaguardarli in occasione di modifiche sostanziali o di abbattimento delle strutture architettoniche che li ospitavano, è molto antica: Soprattutto in area toscana nel Cinquecento, venne adottata la tecnica dello stacco "a massello", segando una parte consistente del muro di supporto dell'affresco, dopo averne protetto la superficie dipinta, e trasferendolo altrove, dopo averlo imbragato con travi o catene.
Stefano Ticozzi: " Era Lionardo giunto ai 63 anni, quando venuto a Milano Francesco I re di Francia, e non riuscendogli il progetto di far segare il muro del Cenacolo per trasportarlo in Francia, invitò l' artefice con onoratissime condizioni a recarsi alla sua corte"

Raffaello
Non pochi a questo punto erano gli indizi che mi portavano  a privilegiare un ipotetico luogo dove cercare la battaglia di Leonardo: l'estremità sinistra in basso dell'affresco del Vasari della battaglia di Torre san Vincenzo.
Battaglia di Torre san Vincenzo Vasari



Zuffa di Cavalieri collezione Loeser Palazzo Vecchio su embrice



Da notare la somiglianza tra l'embrice e la scena centrale della battaglia di Torre san Vincenzo del Vasari, Ciò potrebbe avvalorare la mia tesi, qualora si accertasse che questo dipinto sia da attribuire a Leonardo, che l'iconografia dell'affresco della battaglia di Anghiari sia differente da quella tramandataci.






Disegno di Leonardo

Vi è una certa corrispondenza tra il disegno di Leonardo e quello della battaglia del Vasari ,è il cavaliere che brandisce la mazza al centro.


La testa di Medusa all'epoca veniva assimilata ora alla dinastia Medicea, ora alla Repubblica Fiorentina, ne è un esempio il Perseo del Cellini che avrebbe dovuto celebrare la vittoria medicea sui repubblicani, ma in realtà esprimeva il concetto contrario.Nell'Affresco del Vasari sembra esserci un collegamento tra il cavaliere ferito che regge lo scudo con la testa di Medusa e il Perseo
Benvenuto Cellini Perseo e Medusa


Cosimo I de Medici ha sul petto la testa d'Ariete tra le cui corna sono raffigurate due teste di Medusa, nonchè la testa di Leone, tutti simboli appartenenti alla famiglia Medici.
Da notare accanto al cavaliere un cavallo bianco caduto che richiama il simbolo  mediceo del diamante nella bardatura e quello delle palle nel cavallo in primo piano.      
Lo scudo con la testa di Medusa ha una specie di foro insolito nella parte bassa come a voler suggerire di guardare all'interno. Altri due scudi con testa di medusa nell'affresco non presentano le stesse caratteristiche.
Continuando nell'analisi dell'affresco emergono altri particolari che possono costituire degli indizi.La freccia che colpisce il cavaliere potrebbe indicare a sua volta la presenza di qualcosa al di sotto. La zona in basso evidenzia alcuni elementi: i testicoli del cavallo associabili sia allo stemma mediceo, sia all'aspetto omosessuale, accanto il pomo dell'elsa di una spada leggermente ricurvo che richiama un fallo, a sua volta vicino al foro nello scudo con la testa di Medusa.
L'espressione feroce e grottesca di alcuni cavalieri che militano nelle schiere avverse ai fiorentini, fanno pensare ai mercenari ingaggiati nella battaglia di Anghiari. La " pazzia bestialissima " di cui parla Leonardo riferendosi alla guerra, sembra evocata in questa scena nella quale la battaglia è più concitata e cruenta che negli altri affreschi del Vasari.
Il cavaliere al centro che brandisce la mazza ferrata con un'espressione grottesca  indossa un elmo sforzesco come nella battaglia di Anghiari.
Il cavaliere disteso esangue al centro potrebbe corrispondere alla descrizione che ci da Niccolò Machiavelli nella battaglia di Anghiari " Ed in tanta rotta e in sì lunga zuffa che durò dalle venti alle ventiquattro ore, non vi morì altri che un  uomo , il quale non di ferite o d' altro virtuoso colpo , ma caduto da cavallo e calpesto espirò"
Il personaggio a cavallo all'estremità destra, col berretto rosso con una specie di dispaccio, potrebbe fare riferimento al Neri Capponi che ricevette dai 10 della Balia una lettera nella quale lo si sollecitava a non ingaggiare lo scontro col Piccinino, e a lasciarlo rientrate a Milano.Lettera per altro intercettata dallo stesso Piccinino che non ne tenne conto. Vi sono altri aspetti curiosi: la famosa Torre di san Vincenzo è rappresentata in modo non realistico, come se volesse suggerire un altro scenario,i tre cannoni sparano uno contro l'altro e non sono puntati contro il nemico. 

In alto nella cornice, quasi al centro dell'affresco appare una strana griglia a mo di presa d'aria, non sono riuscita a comprenderne la funzione, ma potrebbe esservi stata posta per permettere l'areazione contro l'umidità che avrebbe potuto compromettere qualcosa che si trovava al di sotto dell'affresco o comunque su quella parete.
Si da per certo che il Vasari non avrebbe mai potuto distruggere un lavoro di Leonardo, anche se ormai disastrato. Se ha tentato di salvarlo potrebbe averlo staccato dalle parete est e inserito in quella ovest, oppure averlo staccato e imbragato e fatto scendere lungo la parete ovest al di sotto della battaglia di Torre San Vincenzo.
Un'eventuale ricognizione con sondaggio non invasivo per verificare la consistenza delle mie ipotesi, potrebbe essere effettuale tranquillamente tra le due cornici che separano la battaglia di Torre san Vincenzo e l'assedio di Livorno da parte di Massimiliano d'Austria, oppure nella porzione di muro opposto in corrispondenza nelle scale. O ancora sondando la parete al di sotto dell'affresco.



ALTRI RIFERIMENTI


Poccetti Palazzo Capponi La battaglia di Anghiari




L'analisi dei particolari che inducono ad ipotizzare che l'affresco del Poccetti, amico e allievo del Vasari,volesse alludere alla presenza di quello della battaglia di Anghiari di Leonardo sotto quello della battaglia di Torre san Vincenzo dello stesso Vasari. Come suggerisce il Machiavelli la battaglia, benchè cruenta non provocò che una perdita umana, si trattava di un uomo caduto da cavallo e calpestato. Questo può essere dovuto al fatto che la maggior parte dei combattenti essendo dei mercenari erano poco inclini a rischiare la pelle.Il cavaliere che sta morendo al centro dell'affresco, viene chiaramente calpestato come del resto quello che appare nella battaglia di Torre san Vincenzo del Vasari.Mettere in correlazione questi due affreschi mi ha permesso di trovare alcune corrispondenze utili per la mia tesi. Il cavaliere a sinistra indossa un elmo con cimiero col drago visconteo simile a quello della battaglia di Torre san Vincenzo e qulla di Anghiari. Il cavaliere che sta morendo nella rappresentazione del Poccetti ha in mano uno scudo con l'immagine della Medusa, come il cavaliere ferito del Vasari. L'allusione in entrambe alla sconfitta della casa Medicea il cui simbolo era la Medusa?Questa ipotesi può essere avvalorata dalla presenza del cavaliere che calpesta l'uomo caduto che ha in mano lo scudo con l'emblema della Repubblica Fiorentina.  Nel suo affresco si intravedono tre teste di anziano barbuto seminascoste sparse qua e là, sono simili al ritratto di Leonardo in un affresco del Vasari, quest'uomo ha gli occhi azzurri, come Leonardo, altra allusione all'affresco del Vasari che avrebbe celato la battaglia di Anghiari?





Leonardo è qui rappresentato dal Cigoli di profilo come se volesse ignorare o essere considerato avulso dagli altri personaggi: Lorenzo e Giuliano de Medici e in particolare Michelangelo. Ciò  può dare una dimensione del clima e delle dinamiche che regnavano tra questi personaggi.

TECNICA DI PREPARAZIONE DELL'AFFRESCO

Il muro destinato all'affresco può essere di pietre o mattoni (ma non misto, poiché ciò nuocerebbe alla resa della pittura), deve essere esente da umidità e deve presentare una superficie ruvida che consenta l'applicazione di un primo intonaco chiamato arriccio o arricciato, composto in genere da una parte di calce grassa spenta e due o tre parti di sabbia silicea di fiume a grana grossa lavorate a lungo con acqua. Sull'arriccio viene steso l'intonaco destinato a ricevere il colore, detto tonachino. Questo è solitamente composto di sabbia fine, polvere di marmo e calce in parli quasi uguali e viene applicato sull'arriccio che deve rimanere umido per tutta la fase della coloritura; per questo esso viene steso soltanto sulla superficie destinala ad essere dipinta nel corso della giornata.

“In questo tempo Lionardo da Vinci, maestro grandissimo et fiorentino di pittura, cominciò a dipignere la Sala del Consiglio in quella faccia sopra dove stanno e 12 Buoni Huomini, et fessi amattonare quel’andito del Palazo in Sala con matoni quasi tonddi, et apichòsi in Sala detta nove bandiere toltte al signore Bartolomeo d’Alviano più giorni fa”.
Sarebbe molto interessante poter rintacciare la presenza di quei "matoni quasi tonddi".

Cercando di fare il punto, non risulta determinante sapere su quale parete della Sala del Consiglio si sia cimentato Leonardo. Gli indizi da me evidenziati,propendono per la parete ovest (ponente), ma l'affresco avrebbe potuto essere stato staccato dalle parete est dal Vasari, come aveva fatto in occasione dell'affresco del Masaccio, ed occultato nella parete ovest  che si prestava per certe sue caratteristiche: spessore dei muri, intercapedini, migliore gestione degli argani.
Auspicherei quindi ulteriori indagini con sondaggi sulla porzione di parete esterna alla sala, lato scale,in corrispondenza con la battaglia di San Vincenzo del Vasari nella parte inferiore del muro o addirittura sotto il livello del pavimento del Salone.

Maria Emilia Graziani



miamagraziani@yahoo.it

cell. 3387694195



Commenti

  1. Il legame più sorprendente, che collega la Sindone di Torino con le opere di Leonardo da Vinci, è nella somiglianza del volto contenuto nell’immagine della ferita al costato della Sindone, con il volto urlante del guerriero centrale della Battaglia di Anghiari di Leonardo. Sebbene l’immagine della ferita al costato sembri sempre leggermente differente nelle varie riproduzioni fotografiche, un po’ come l’Autoritratto di Leonardo, anch'esso custodito a Torino. Riprodotta, includendo anche parte dello spazio alla sua destra e sinistra, mostra caratteristiche comuni con il guerriero centrale, Niccolò Piccinino, con il berretto rosso della Tavola Doria. Naso pronunciato, bocca spalancata, il labbro superiore quasi attaccato al naso. Il legame non sarebbe solo di tipo figurativo, (la somiglianza dei due volti), ma anche di tipo funzionale. Giacché la ferita al costato a Gesù fu procurata da una lancia da parte di un soldato. Mentre la Lotta per lo stendardo verte attorno al possesso di una lancia. Inoltre mentre nel violento furore parossistico della Battaglia di Leonardo assistiamo al mutarsi degli uomini in cavalli e viceversa. La Sindone invece indicherebbe la trasfigurazione gloriosa di Gesù. Ma i geni hanno un volto somigliante, un intelligenza simile e producono opere analoghe. Gesù volto e modello
    archetipo del genio. Nella Gioconda secondo Mario Alinei abbiamo il ritratto di una donna morta come se fosse viva, nella Sindone abbiamo l'autoritratto o il ritratto di un Uomo vivo come morto. Cfr. ebook/kindle. La Sindone di Torino e le opere di Leonardo da Vinci: analisi iconografica comparata.

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